20 aprile 2017

E’ dalle imperfezioni che entra la luce.

Non sono una persona semplice, né lo voglio essere. Non faccio sempre e comunque quello che le persone si aspettano che io faccia. E ne sono fiera. Perché quando gli equilibri si rompono le persone si devono esporre per non cadere. E' fisica.

Non sorrido a comando, a meno che non sia un poliziotto che mi ferma alle tre di notte ed io devo evitare l’alcol test. Allora sì, sorrido a comando. O al Commando. Basta che mi lascino tornare a casa con macchina e patente. Che qualche cavolo di vantaggio ad essere femminuccia ci deve pur essere. 

Non rispondo ai messaggi se non c’è niente da rispondere, a meno che non abbia voglia di scrivere qualcosa io, e per la maggior parte delle volte se scrivo è perché mi piace la sensazione di aspettare una risposta. Di vedere il “…sta scrivendo” che compare sullo schermo del telefonino per poi lasciare il messaggio un po’ lì, non letto, per il gusto di sapere che c’è. Per godermi quel tempo di attesa che odora di sabato del villaggio. Che non è Fantozzi. Capre-ignoranti.

Non resto il sabato sera a guardare a casa c’è posta per te. Nemmeno se prendessi il Lexotan ed avessi 84 anni. Il sabato sera mangio pizza surgelata, bevo birra surgelata, e rido come una matta ballando musica degli anni 2000 guardando improbabili ventenni con pantaloncini aderenti e scosciati sculettare bevendo Redbull e vodka… generazione di rincretiniti che non ha neppure capito che il party anni 2000 dell’Estragon non parlava dei nati nell’anno 2000. UmbertoECOpregapernoi.

La mattina mi sveglio alle 6.15 fresca come una rosa, che manco i frati francescani e inforco le All-Star distrutte da teenager denoattri, carico il cucciolo d’uomo di tre anni e mezzo sulla bici, e mi inebrio della campagna alle 8 del mattino. Mi inebrio da 39 di febbre e mal di gola per una settimana. Mi inebrio di marito che rischia l’attacco di allergia e la morte certa fra nuvolette di polline. Mi inebrio di mio figlio che cerca con tutte le sue forze di farmi cascare ad ogni curva spostando sapientemente il peso del suo corpicino esattamente dalla parte opposta di dove dovrebbe. Mi inebrio di campagne fiorite e cieli azzurri che Van Gogh spostati che io c’ho Instagram con il filtro “Lo-Fi” che non so che cavolo voglia dire ma Fi(ga) mi ci fa sembrare pure se ho le occhiaie da Panda in estinzione.

Non ascolto le dicerie e faccio lo slalom tra i consigli di vita e gli aforismi da bar sport della pagine Facebook. Se morite dalla voglia di sapere come sto, vi do un consiglio spassionato: potete tirare su il vostro bel telefonino che non serve solo a scrivere gli stati colorati di sta ceppa e chiedermelo invece di studiare i miei stati su Facebook manco fossero la monografia di Pirandello - che a farci una tesi di laurea ti danno la laurea ad honorem in scienze del fatti i cavoli tuoi e a farci un'indagine statistica ti leggono di sicuro nell’edizione di studio aperto delle 12.15 che guardate solo voi e la zia Assuntina. Porcalapupazza.

Non mi metto i tacchi che tanto sono bassa. Non faccio fesso nessuno con 15 cm di tacco e una camminata che sembro Pelè in via rigosa. E se li metto ci vado dalla scrivania dell'ufficio al bagno e ritorno. E a metà mattina sono già a piedi nudi per il corridoio che le fotocopie le vado a prendere correndo che se mi vede il capo altroché dress-code parte la denuncia. Mode primavera estate 2.0. Il piede scalzo tira.

Non sono una persona semplice né facile. Non sempre faccio cose che poi sono in grado di spiegare. Figurati se siete in grado di spiegarle voi. O di capirle. O di provare a farle capire a me. O di provare a spiegarle agli altri. Faccio cose e punto. Poi vorrei avere la bacchetta magica e tornare indietro che #ancheno ma indietro non si torna, allora cerco di andare avanti a testa alta e spalle larghe, e sorrisi spianati come vestiti nuovi, che se porti avanti i tuoi errori con orgoglio finisce che gli altri li scambiano per scelte ponderate, e forse capita pure che la gente si domandi se siano successe davvero o non sia forse solo frutto della loro immaginazione. Che bisogna andare a scuola da Dynamo che mentre con nonchalance ti riempie la stanza di farfalle colorate ti ciula l’Iphone 9 e seppellisce il cadavere di tua nonna sfoggiando il sorriso più aggraziato che la mamma ci ha donato. Magggia-Maggia. Tutta invidia la vostra che avete già passato il tempo delle marachelle. A me capita di esserci dentro ancora alle volte. Che come dice il saggio, una cosa è invecchiare ed una cosa è crescere. O era il guru della due giorni motivazionale che avrei preferito morire che frequentare. Bho. Poco importa, su questo (e solo su questo) aveva ragione.

Non vivo nel mondo delle fiabe, anche se ho i capelli lunghi come Rapunzel (a detta di mio figlio) ed ho imparato a fare i conti con la realtà della vita. Non pretendo di avere accanto il principe azzurro, perché si sa sempre meglio trovare Shrek e tenerselo stretto stretto. E se le favole non sono sempre facili e semplici meglio ancora, serve creatività, inventiva ed ottimismo. E facile e semplice non lo sono nemmeno io. E fiducia nel futuro, realtà o favola che sia, che prima o poi arriva sempre un lieto fine.

Non sono una persona lineare e lo dimostra il fatto che mio figlio invece che sapere le canzoncine della baby dance si arrampica sugli alberi al grido di “mazeeeenga mazeeenga… robooooot”.

E poi mi prende la faccia fra le sue manine pacioccose e mi dice “Mamma. Tu sei quella giusta”.

Ecco. Non sono semplice. Né facile. Né lineare.
Ma sono quella giusta. 

Scrivetela voi una favola più bella di questa.